Il piano B

Peggio della morte c’è solo la vita che va avanti portando dentro un’irrimediabile, infinita sconfitta. La violenza della natura è severa ma giusta, per usare un’espressione che va di moda. La sua giustezza, la sua severità, sono postulati dalla violenza stessa, che non è sindacabile. Un terremoto non è sindacabile, un meteorite non è sindacabile, un gruppo di leonesse a caccia non sono sindacabili per la gazzella più debole, che quindi non ha diritto a sopravvivere. Il diritto è un postulato, se non addirittura un artifizio astratto, un astro immobile per agevolare il calcolo delle traiettorie, dove il calcolo è il vero fine ultimo, il piacere dell’esercizio di un pensiero da concludersi con un successo.

Il piano B è l’accettazione della violenza della natura, intesa in senso lato, in qualunque modo si manifesti, e individuando nella sostanza del suo dispiegarsi una nuova via per continuare. Entra in gioco quando fallisce il tuo tentativo di essere la natura che schiaccia la propria vittima, e sei tu che soccombi. A quel punto il peggio ridiventa la morte, che è un male piccolo, una cosa da niente, un compimento. Il piano B è meglio che morire da eroe per il piano A, qualora il tuo “eroismo” sia (già) un ramo secco, senza futuro, una fine inutile che non salverà nessuno, che non eviterà quella resa contro la quale hai combattuto.

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